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martedì 26 marzo 2013

La Tela della Donna Ragno

 
Canyon de Chelly - la tela della Donna Ragno
testo by Everett

   Ho iniziato a studiare e ad appassionarmi al Canyon di Chelly osservando per la prima volta questa vecchia foto in bianco e nero del 1904 di Edward Sheriff Curtis, ora conservata a Washington, che si intitola "il trek di sette cavalieri Navajo a cavallo ed un cane sullo sfondo delle pendici di un canyon" - In questa splendida immagine il soggetto multiplo dei sette Navajos (o Dineh come si chiamano fra di loro) è immerso e sovrastato dalle poderose pendici del Canyon, così interrotte nell'inquadratura del fotografo, quasi a non farne percepire del tutto l'immensità e la maestosità, in un modo che fai fatica a capire qual'è il vero soggetto della foto. Questa fotografia di sette cavalieri ed un cane, in un trek in fila indiana di oltre un secolo fa, che è anche e soprattutto un vero e proprio documento etnologico, ci ricorda un po' le atmosfere della filmografia western come "Stagecoach" di John Ford, ed è forse una delle prime testimonianze documentate di questo luogo - o forse sono stati gli splendidi scatti in chiaroscuro di Ansel Adams che passò da queste parti nel 1940-1942 ad immortalare questo luogo che è un po' il "Sancta Sanctorum" dei Navajo. 



Canyon de Chelly (foto di E.S.Curtis - 1904)



   Di quanto sia sacro te ne accorgi ancor prima di arrivare, un po' dal silenzio della zona, così distante dal fracasso yankee della Monument Valley, ed un po' dall'accessibilità non proprio banale al sito - non tutte le aree sono aperte al pubblico e per scoprire quelle visitabili è necessaria una lunga scarpinata per scendere giù nel canyon dalla sovrastante mesa tenendo da parte un po' di fiato di riserva per la risalita. E poi c'è quella che è diventata un po' l'icona del Canyon de Chelly: "Spider Rock", una guglia di arenaria alta circa 800 piedi che si alza dal fondo del canyon sino quasi a toccare il bordo della mesa. Questa, secondo la tradizione Navajo, è la casa della Donna Ragno, una divinità molto importante nella tradizione dei nativi. Secondo il racconto della loro creazione, nel momento in cui il popolo Navajo ha trovato la sua strada dal mondo sommerso, essa ha dato a loro la forza di distruggere le creature malvagie che percorrevano questa terra e di proteggere tutti quegli uomini che si trovassero in pericolo a causa altrui. In una altra leggenda un giovane Navajo stava cacciando nel canyon quando un guerriero nemico cominciò ad inseguirlo.  Spinto sempre più nella profondità del canyon il giovane Navajo era ormai a corto di soluzioni per cavarsi d'impaccio, quando ad un tratto, sulla parete laterale di Spider Rock, vide una goccia di seta alll'estremità di una ragnatela pendere dalla roccia. Presala, se la legò stretta alla vita e, con l'aiuto della Donna Ragno, il giovane fuggì verso l'alto, dove gli fu permesso di rimanere fintantochè non fu in salvo. La leggenda della Donna Ragno ha anche un lato oscuro - si dice che aiutata da uno spirito spia che risiede nei pressi di una roccia adiacente chiamata Speaking Rock la Donna Ragno vada in cerca di tutti coloro che sono stati maliziosi o disubbidienti. Ed ogni volta che sente parlare di un bambino che si è comportato male la Donna Ragno scende giù dalla sua casa, lo afferra e lo porta su con sè incontro al suo destino. E si racconta che le estremità bianche e gessose che coprono come un cappuccio Spider Rock, secondo questa leggenda, siano nientemeno che le ossa dei bambini Navajo che lei ha divorato.
Spider Rock, icona di Canyon de Chelly, dove si dice abiti la Donna Ragno (foto by Everett)
     L'aspetto del Canyon de Chelly non è molto diverso da quella degli altri canyon dell'Arizona e più in generale del Sud-Ovest Americano - una mesa sovrastante composta di arenaria rossa scavata dal sottostante corso d'acqua durante le ere geologiche. La sua difficile accessibilità, il fatto che bastasse controllare il lato aperto del canyon per difenderlo dai nemici, oltre a diverse particolarità quali una maggior ricchezza d'acqua corrente, e la presenza di pascoli più ricchi e verdi rispetto a quelli del sovrastante plateau ne hanno fatto un luogo elettivo per gli insediamenti umani, che datano fino al 2500 a.C. In questo sito, protetto dal National Park System fin dal lontano 1931, hanno abitato i misteriosi antichi che hanno lasciato le loro immagini sui petroglifi che disseminano la vallata, seguiti poi dalle popolazioni dei "Basketmakers" che iniziarono, oltre che ad utilizzare le grotte naturali, a creare delle strutture nel terreno, dette "pithouses". Dopo il 750 a.C. il Canyon viene abitato dagli Anasazi (detti anche gli Antichi) - è il cosiddetto periodo Pueblo, dove le costruzioni, spesso circolari, vengono addossate le une alle altre e dove sia la coltivazione che la caccia, questa effettuata con arco e freccie, si fanno più articolate e sofisticate.



Un particolare effetto "cioccolata" di screpolatura del terreno sul fondo del Canyon de Chelly (foto by Everett)

Gli Anasazi poi alla fine del Trecento lasciano la zona - il perchè è ancora un mistero, ma si pensa che probabilmente le mutate condizioni climatiche legate ai raccolti siano alla base di questa scomparsa, che è comune agli altri territori del Sud-Ovest. La regione resta poi per un lungo periodo quasi del tutto priva di insediamenti continuativi, anche se per diverso tempo le tribù Hopi della zone ne utilizzarono i terreni; fino a circa il 1700, quando popolazioni native Navajo vi stabilirono sia colture che allevamento di bestiame. Coesistenza, quella dei Navajo col territorio, minata da un  rapporto spesso conflittuale prima con gli spagnoli ed i successivi governatorati messicani, e poi con gli Stati Uniti d'America - fintantochè il governo yankee, stanco delle continue scorribande indiane, con l'aiuto del colonnello Kit Carson penetrò nel Canyon e vi distrusse abitazioni e raccolti - si decise quindi di trasferire in modo coercitivo tutti i Navajo della zona a Bosque Redondo, nel New Mexico, a perecchie centinaia di chilometri di distanza, e questo fino a che la sigla degli accordi del 1868 consentì a Navajo di ritornare nei territori che abitavano, uniti sotto la giurusdizione della Navajo Nation. Di questa coesistenza non certo pacifica rimangono luoghi simbolo nel Canyon de Chelly, come Massacre Cave, il sito che commemora l'uccisione di 115 indiani ad opera delle truppe messicane.
   Oggi come oggi Chelly vive ancora e sono diversi gli insediamenti dei nativi ancora presenti nella vallata. Qualche hogan è ancora presente sul fondo del canyon, anche se i Navajo, molto gelosi della loro privacy, vietano assolutamente di fare fotografie a persone ed abitazioni (secondo una antica tradizione comune a molte tribù la fotografia "ruba" l'anima delle persone fotografate). Altri gruppi organizzano visite guidate, che partono dal vicino Visitor Center di Chinle. Il contesto è comunque altamente "emozionale" specie quando si giunge a White House Ruins, una serie di costruzioni in pietra molto antiche addossate alla parete del Canyon, in un contesto veramente scenografico. Ci si arriva con un trail ripido e roccioso ma ben mantenuto, che richiede dai 25 ai 50 minuti di cammino, a seconda dell'allenamento. La vista dell'insediamento e del contesto in cui è immerso ripaga ampiamente dello sforzo fatto per raggiungerlo. Un vero e proprio luogo magico che regala più di una emozione.

White House Ruins, alla fine del White House Trail, il cuore di Canyon de Chelly (foto by Everett)
 
Camyon de Chelly - un canyon maestoso che nasconde una valle di smeraldo (foto by Everett)


Natura e storia sullo sfondo delle rovine di White House (foto by Everett)

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